La traduzione di Ottavio Fatica in Italia: come siamo giunti a questo?

In Italia, dal 2018 ad oggi, stiamo vivendo una situazione molto spiacevole e molto dolorosa. È spiacevole perché stiamo assistendo per l’ennesima volta all’inasprimento di un conflitto tra realtà tolkieniane diverse per motivi prettamente ideologici. Il dolore viene invece provocato dalla consapevolezza che i valori insiti nei testi di Tolkien dovrebbero guidarci tutti ad essere più comprensivi, veritieri, onesti e sinceri: Tolkien dovrebbe aiutarci ad andare contro il mondo, e non ad imitarlo, se con “mondo” intendiamo la politica, la guerra, il conflitto, l’egoismo, la falsità, l’ideologia.

Per comprendere bene gli accadimenti degli ultimi due anni in Italia, dobbiamo comprenderne la genesi. Non posso qui riassumere tutto il libro di Oronzo Cilli Tolkien e l’Italia edito da Il Cerchio perché sarebbe impresa che travalica grandemente le finalità e gli spazi di questo articolo. Dunque, augurandomi una sua prossima pubblicazione in inglese, dato il successo di Tolkien’s Library, mi limito a due accenni.

Come più volte ci siamo detti io e la principessa Vittoria Alliata di Villafranca nelle nostre chiacchierate, essendo lei prima traduttrice de Il Signore degli Anelli in Italia, solamente il primo editore di Tolkien ha creduto nella bellezza e nelle potenzialità di questo autore: Mario Ubaldini della casa editrice Astrolabio. Correva l’anno 1967 quando il primo volume della trilogia (che è tale solo per motivi editoriali, come tutti i tolkieniani sanno, in quando il libro è uno solo), La Compagnia dell’Anello, usciva in un ridotto numero di copie senza avere minimamente il riscontro sperato, quel riscontro che avrebbe permesso ad Ubaldini di rientrare nei costi e di pubblicare i due volumi seguenti. Così fu costretto a vendere i diritti a Rusconi, la quale, tramite la revisione alla traduzione a cura di Vittoria Alliata da parte di Quirino Principe e l’introduzione di Elémire Zolla, inquadrò il testo nella cultura della destra italiana degli anni ’70, pur non avendo esso alcun colore né motivo politico al suo interno.

La Compagnia dell’Anello nell’edizione Astrolabio.

Inoltre, Tolkien non ha mai avuto rapporti con quell’esoterismo e quel neopaganesimo di cui la cultura suddetta di Principe e Zolla era a tratti intrisa, per non citarne il Tradizionalismo: in Tolkien la Tradizione è molto importante e la si può anche citare con la “T” maiuscola, ma il suo significato nelle sue opere non è lo stesso dell’interpretazione che in quegli anni ed in quel contesto editoriale gli venne data. Anni da cui mi sono giunti racconti agghiaccianti da chi li ha vissuti, che per leggere Il Signore degli Anelli doveva nasconderne la copertina se di sinistra, o appiattirsi sulle posizioni dei capi partito se di destra. L’Italia era un paese diviso dalla cortina di ferro e l’apartiticità un valore che il romanzo avvinse a sé con la sola forza dei suoi contenuti.

In queste poche righe ho riassunto una storia estremamente più complessa e variegata, ma la sostanza è che Tolkien in Italia ha sempre dovuto farsi strada nel mezzo delle selve della politica, dell’ideologia, dell’arrivismo, del mero desiderio di arricchirsi e di idee che non gli appartenevano. Si era usciti in gran parte da queste “Paludi Morte” attraverso i film di Peter Jackson. Non si parlava più di politica ad esempio, ma ci siamo ricaduti per via del lavoro mai nascosto, ma sempre esplicito, del gruppo Wu Ming, un collettivo di scrittori italiani di estrema sinistra che unisce il peggio del vecchio e del nuovo modo di concepire la lotta politica e l’ideologia appunto di sinistra, e che ha avuto come finalità dichiarata quella di scalzare dalla casa editrice che ad oggi in Italia ha i diritti di Tolkien, Bompiani, chiunque non fosse d’accordo o raccomandato da loro. Tra questi in accordo, o comunque raccomandati, da loro, ci sono l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani (AIST) e di conseguenza il nuovo traduttore Ottavio Fatica, essendo Wu Ming 4, alias Federico Guglielmi, un socio fondatore AIST e colei che ha consigliato a Bompiani Fatica come traduttore e Giampaolo Canzonieri, altro socio AIST, come loro rappresentante per la revisione tecnico-scientifica della traduzione. Tale revisione aveva come finalità quella di rendere la traduzione di Fatica “più tolkieniana possibile”, come dichiarato di recente al Salone del Libro di Torino 2020 dal loro presidente Roberto Arduini.

È questo il modo in cui ci è stato detto che, attraverso la traduzione di Fatica, ci è stato restituito “il vero Tolkien”. Mettiamo tra parentesi la questione del “vero Tolkien”, che non sarà quello di una traduzione, ma semmai della lingua originale, ammesso che un “vero Tolkien” esista dato il modo di scrivere e riscrivere dello stesso Autore le medesime storie. Infatti, non è questo il punto: il senso di tutta l’operazione era l’estromissione del mondo tolkieniano da suo padre, Tolkien appunto, perché tutti coloro cui non piace questa traduzione ed i metodi che l’hanno generata sono nel migliore dei casi solo dei “tifosi da curva sud”. Solo i tesserati e i sostenitori a qualche modo e titolo di AIST sono autorizzati a muovere critiche circostanziate e puntuali laddove il traduttore abbia fatto qualche piccolo errore. Sicuramente tradurre Ranger con Forestale non rientra tra questi, dal momento che Wu Ming 4 ha fatto uno studio “filologico” del termine Ranger da cui risulterebbe che Forestale è una traduzione ottimale: è indifferente che alle persone Forestale rievochi la Guardia Forestale e non ciò che i Raminghi veramente sono nel mondo di Tolkien, ovvero degli spodestati privi di una dimora fissa perché l’hanno perduta a causa di Sauron e delle guerre con il Regno di Angmar.

D’altronde, tutti gli italiani conoscono la finezza filologica di Wu Ming 4 grazie al suo capolavoro Stella del Mattino (Einaudi 2008), dove Tolkien viene rappresentato, nella fantasia dell’autore, come un malato mentale che si fa la pipì addosso (Fatica ne Le Due Torri ha tradotto they could hear it tinkling away con l’udivano spisciolare), ha le allucinazioni e più che un grande filologo sembra un paziente psichiatrico, che al posto di scrivere racconti dovrebbe assumere farmaci e farsi curare nei reparti ospedalieri e non nelle aule universitarie. D’altronde, racconta Wu Ming, la stessa ispirazione per l’Anello del Potere venne a Tolkien da T.E. Lawrence, maggiormente noto come “Lawrence d’Arabia”. Questa del Professore non mi sembra altro che una brutta caricatura di un intellettuale maledetto, cosa che Tolkien non era.

Il Companion and Guide di Hammond&Scull

Nemmeno sua moglie Edith Bratt sfugge all’assoluta mancanza di rispetto del neomarxista Guglielmi: il loro matrimonio viene rappresentato, senza fondamento né riguardo alle loro persone e alla loro privacy, come estremamente problematico e conflittuale, per via delle fede di Tolkien e della sua esplicita follia. Ricordiamoci che dell’anno prima della pubblicazione di Stella del Mattino è la prima edizione della monumentale raccolta di Hammond e Scull J.R.R. Tolkien Companion and Guide, e di questa come della classica biografia di Carpenter Wu Ming sembra non tenerne affatto conto. La sua Edith, infatti, parla del Sacramento della Confessione come di una pratica medievale e ad un certo punto sembra anche minacciare di divorziare da suo marito nel caso in cui non si facesse curare.

Lascio le altre considerazioni in merito a questo libro a un articolo di Oronzo Cilli nel suo blog Tolkieniano, ma nemmeno Ottavio Fatica, il nuovo traduttore de Il Signore degli Anelli in Italia, si discosta da Wu Ming 4. Infatti, al Tolkien Lab di Modena del febbraio 2020, per quanto ha tenuto prendere le distanze da Wu Ming, ivi presente, sottolineando di essere stato ingaggiato da Bompiani e non da lui, egli non si è di molto differenziato dalle sue posizioni. Tra parentesi, il Tolkien Lab viene organizzato a Modena dall’Istituto Filosofico Studi Tomistici, di cui Claudio Antonio Testi è il presidente essendo anch’egli socio fondatore ed exvicepresidente di AIST. In tale sede, Fatica ha dichiarato di aver tradotto Rangers con Forestali perché il madrelingua inglese quando legge Rangers pensa al Walker Texas Ranger di Chuck Norris o ai Rangers dell’Orso Yoghi, e non ai Raminghi di Tolkien.

Il termine Rangers secondo Fatica è incomprensibile al lettore madrelingua, dunque deve essere altrettanto incomprensibile al lettore che legge in traduzione. Uno dei criteri cardine nella nuova traduzione è, infatti, l’incomprensibilità del testo, che è tanto più incomprensibile perché pieno di termini provenienti dai dialetti regionali e che, dunque, non sono nemmeno “italiano” in senso stretto. Tale criterio è opposto a quello scelto dalla precedente traduttrice Vittoria Alliata, che era l’assoluta ed immediata comprensibilità della traduzione, oltre alla sua musicalità. Essa è pressoché assente nella traduzione di Fatica, quando invece viene raccomandata da Tolkien nella sua Nomenclatura con le indicazioni per i traduttori, dove egli ad esempio parla della sua traduzione di Imladris con Rivendell. Tolkien riferisce di aver privilegiato la musicalità del nome quanto e forse anche più del senso o della “filologicità” della traduzione, per usare un termine caro ad AIST.

Non sono tuttavia questi i problemi più gravi della traduzione di Fatica, e cioè quelli inerenti alla nomenclatura. Egli infatti nella sua traduzione mette non solo i già citati regionalismi, ma anche degli arcaismi, cosa assolutamente corretta se egli non l’avesse fatto con un criterio opposto a quello esposto di nuovo da Tolkien nella lettera 171, in cui egli dice esplicitamente che non è mettendo delle parole desuete che un testo diventa arcaico: ecco, è esattamente quello che ha fatto Fatica, mettendo qui e là termini italiani arcaici, senza un criterio ma solo come “abbellimento” della traduzione, quasi a voler strizzare l’occhiolino al lettore dicendogli “vedi come sono bravo a usare i dizionari?”

È esattamente questo il significato della filologicità della traduzione di Ottavio Fatica, tanto vantata dai suoi revisori di AIST: la perizia usata nella consultazione dei dizionari della lingua italiana. Il più consultato è stato specialmente quello dei sinonimi e contrari, cui si è dato fondo con le mille rese della medesima cosa: forrapoggiovallevallea, eccetera. Il Théoden di Fatica parla esattamente come Tolkien diceva che non doveva parlare, e la cosa strana è che le lettere del nostro Autore sono state recentemente ritradotte da Lorenzo Gammarelli, anche lui socio AIST. Sarà stato questo un vuoto di memoria di coloro che dovevano occuparsi della resa “più tolkieniana possibile” della traduzione?

In merito alla traduzione di Ottavio Fatica, devo citare solo alcune altre cose. Il nuovo traduttore, ad esempio, fa uso di termini perfettamente italiani, come procacciare, dal capitolo Il Fosso di Helm ne Le Due Torri, ma con un significato diverso dall’usuale. Quando noi italiani diciamo procacciare pensiamo subito al cibo. Infatti, procacciare secondo il prestigioso vocabolario Treccani significa “procurare cacciando”. Fatica scrive la sortita sulla Rocca aveva procacciato solo una breve tregua: è anche in questo modo che il traduttore mette il lettore in difficoltà, inserendo termini con un certo uso corrente, ma dando loro un significato molto lontano da esso. “Stranezze” simili, se così vogliamo chiamarle, sono la presenza di ricercatezze come daffare, che non ho mai visto nell’uso comune al posto di da fare, e i rinforzi che incalzano aumentando le fila degli attaccanti al Fosso: incalzare assume così un significato opposto a quello atteso, cioè quello di mettere in difficoltà gli attaccanti con l’arrivo degli aiutanti dei difensori, mentre accade appunto il contrario.

Così la stampa locale sulla presentazione di Modena dello scorso febbraio.

Non posso non citare anche il termine palpeggiare, che, stando nuovamente a Treccani, viene usato da Fatica nel suo significato meno comune di tastare, ma che nel suo uso corrente non è un semplice tastare, ma “accarezzare, toccare il corpo di una persona, e soprattutto alcune sue parti erogene, per provocare o provare eccitamento sessuale” (Treccani). In questo modo Fatica arriva perfino all’oltraggio: chi non conosce Tolkien e conoscerà Il Signore degli Anelli per la prima volta tramite la sua traduzione, leggerà che la prima cosa che vide fu Gollum che, così gli parve, “palpeggiava il padrone”. Siamo sulle scale di Cirith Ungol, nel momento in cui Gollum, tornato dalla tana della sua padrona Shelob, ha un rimorso di coscienza. È uno dei momenti cruciali de Il Signore degli Anelli e Fatica, con le sue ricercatezze, lo rovina, facendo leggere al neofita non ciò che realmente sta accadendo, e cioè che Gollum accarezza Frodo, ma che lo sta palpeggiando, cioè che sta tastando le sue parti intime per sedurlo.

Il pentimento di Gollum viene trasformato in un eccitamento sessuale da uno smanioso uso dei dizionari alla ricerca di termini e significati che i lettori anche più preparati non conoscono: quello che infatti vede Sam è una delle zampe di Gollum che toccano il suo amato padrone: letteralmente e dato il contesto pawing at master (così in originale) significa che metteva le sue zampacce addosso al padrone. E nessun altro più di una persona semplice come Sam avrebbe potuto pensare, in quel momento, un giù le zampe dal padrone, data la sua scarsa fiducia in Gollum.

Quello che invece non è una stranezza, ma un errore, e grave anche, è l’utilizzo dell’indicativo al posto del congiuntivo: in Italia c’è grande dibattito e preoccupazione per la perdita di ricchezza della nostra lingua per via del fatto che al posto di tanti tempi verbali si tende sempre di più ad utilizzare l’indicativo imperfetto, e questa è purtroppo una delle cose che Fatica tante volte fa. Sono cose che sfuggono, ma ci si chiede a questo punto dove sia l’editor di Bompiani che avrebbe dovuto correggere queste cose, per non parlare dell’attento revisore Giampaolo Canzonieri che, pur non essendo questo il suo compito, ha sempre affermato di aver segnalato gli errori che vedeva. Piccolo esempio: sempre ne Il Fosso di Helm Fatica traduce Preso commiato, tornò sulle mura e ne percorse tutta la cinta, incoraggiando gli uomini e prestando aiuto ovunque l’assalto imperversava. Ecco, l’indicativo imperfetto imperversava è scorretto, perché avrebbe dovuto essere il congiuntivo imperversasse. A chi ama la grammatica e la ricchezza espressiva di una lingua, come era per Tolkien e come, secondo me, dovrebbe essere per un tolkieniano e per chiunque altro, sanguinano gli occhi mentre legge.

Non potendo trattare tutti gli argomenti con la dovuta ampiezza, cito in parte un intervento di Francesco Cotrona sulla nostra Radio La Voce di Arda, il quale non fa parte di nessuna realtà tolkieniana ma, come la stragrande maggioranza dei tolkieniani d’Italia, non ha gradito questa operazione nel suo insieme. Egli sostiene che ci sia

in generale un atteggiamento di sufficienza, di spocchia. Si trattano i critici, anche coloro che argomentano, con sbrigativa noncuranza. […] Che l’operazione dell’AIST e di Wu Ming su Tolkien sia ideologica non è nemmeno un mistero perché uno degli scopi principali dei Wu Ming, enunciato chiaramente in un post del 2017, era, e leggo testualmente, “scalzare dalle rendite di posizione le cariatidi che per decenni avevano inquinato i pozzi associando la poetica di Tolkien a quella dei loro pensatori preferiti con una cinica operazione ideologica”. Laddove i pensatori sono Julius Evola e compagnia cantante, viene detto altrove. In un post di gennaio 2020 esultano perché “i neofascisti di vario ordine e gradazione”, sempre testuale, “abituati per decenni a considerare Tolkien roba loro, oggi assistono scandalizzati a tutto questo”, cioè all’operazione che stanno conducendo i Wu Ming, “gridano al complotto «neocomunista» o «maoista» (…) e si lagnano perché sono stati esautorati del loro primato nazionale sull’autore”. Uno però si potrebbe chiedere cosa c’entra con l’ideologia una traduzione. È che i Wu Ming, per come la vedo io, vogliono il controllo del testo. Non dovrebbe importare come un certo gruppo sociale interpreti il testo finché ogni altro gruppo ha la libertà di interpretarlo come preferisce. Il punto qui è imporre una interpretazione sulle altre e questo è più facile se si ha il controllo sul testo e nessuno può toccarlo e modificarlo. Se la propria versione è l’unica valida o esistente si ha un certo controllo sull’interpretazione. Io francamente non ho mai avuto l’impressione che i fascisti avessero il controllo del testo. Forse in senso accademico, non lo so, ma non mi pare nemmeno dirimente. Il testo è amato da milioni di persone in Italia, di ogni orientamento politico, per i motivi più diversi. Io non ho mai percepito, nei trent’anni da quando ho letto per la prima volta Il Signore degli Anelli e ho fatto parte del fandom, che questo fosse un libro da fascisti o per fascisti. Io vedo questa traduzione come uno dei passi necessari a estromettere chiunque abbia avuto a che fare con Tolkien in Italia finora, per guadagnare l’egemonia interpretativa del testo. Stanno sostanzialmente facendo quello di cui accusano i fascisti, solo che se lo fanno loro è giusto. Lo mascherano dietro una più alta e maggiore serietà accademica, una millantata aderenza filologica al testo che alle volte è lì, ma di solito no. I Wu Ming sono felici che sia sparita la vecchia traduzione, lo scrivono sul blog, ne parlano con toni trionfalistici. Mi pare incontestabile che siano queste le motivazioni della spocchia incoercibile con cui trattano i critici, anche quelli preparati, facendo di tutta l’erba un fascio. Difendere la loro traduzione è difendere la loro posizione ideologica, per come la vedo io. Nessuna critica è mai legittima perché ogni critica al lavoro di Fatica è una critica alla loro nobile impresa. Per me il problema è una traduzione sciatta, per me il problema non è politico. Io sono a sinistra probabilmente quanto i Wu Ming, e forse anche qualcosa in più. Ciò nonostante cerco di essere onesto: tra tutti i motivi che mi vengono in mente di rimaneggiare un testo, nella mia opinione, quelli ideologici sono tra i più sporchi. […] Io ho discusso con diversi, per fare un esempio, su “undicentesimo” che io considero un errore e mi ha colpito moltissimo perché è in prima riga del primo libro, proprio all’inizio. Undicentesimo? Secondo me è un errore palese. Tolkien era giustificato nel cercare il calco dall’old english con eleventy- first, Fatica non ha un motivo filologico di fare un calco da latino: “undecentisumus” significa novantanovesimo. Improvvisamente Bilbo ha 99 anni, non 111. Se proprio voleva dare al termine un sapore arcaico poteva ricorrere a “centundecimo” o “centoundecimo”, che non esistono comunque in italiano ma almeno non storpiano il significato. Però no, “undicentesimo” è giusto perché “più fedele al testo”, secondo loro. Secondo me è un argomento specioso.

Personalmente, non ho altro da aggiungere se non che attualmente la traduzione di Vittoria Alliata è tornata a disposizione nel nostro paese, almeno per un breve periodo, dopo che Bompiani era stata costretta a ritirare le copie della precedente traduzione dal mercato. A questo si è arrivati su pressione della principessa Alliata stessa lo scorso gennaio grazie a una lettera in cui ha reso noto a tutti i tolkieniani italiani che i diritti della sua traduzione non venivano pagati da anni e che da Bompiani il nostro Autore viene trattato “come un fustino di detersivo”. La cifra resa nota dall’Alliata e non smentita dalla casa editrice per il rinnovo dei diritti ammonta a 880€ annui per una ripubblicazione della sua traduzione “sotto tutela”. Nemmeno tale notizia è stata smentita dalla casa editrice, ma non sappiamo bene da chi questa tutela avrebbe potuto essere esercitata, anche se i fatti accertati parlano chiaro.

Presso la casa editrice Il Cerchio di Adolfo Morganti, infatti, è iniziata la vendita di un fondo di magazzino di remainders dell’edizione Oro del Signore degli Anelli, copertina argentata, tre volumi, edito da Bompiani nel 2007. Accanto a questa buona notizia, che almeno per un po’ gli appassionati di Tolkien potranno godere della facoltà di scegliere tra due traduzioni, c’è quella molto meno buona dello stile della campagna pubblicitaria lanciata da Morganti, che, parlando tra l’altro di “giustizia culturale”, ha riportato i toni a quelli in uso negli anni ’70-’80 nel nostro paese, che tutti gli italiani avevano felicemente ben messo da parte. Ci auguriamo che questa campagna mediatica destrorsa, in stile ultra-tradizionalista, non provochi una reazione a catena. Le premesse, purtroppo, non sono buone.

Faccio i miei ringraziamenti a Cristina Casagrande, amica brasiliana che mi ha chiesto di scrivere un articolo per il suo prestigioso sito Tolkienista, e a tutti i Tolkieniani Italiani, la realtà che ho contribuito a ideare e fondare, di cui fanno parte oltre all’associazione che ho fondato e presiedo, i Cavalieri del Mark, la Società Tolkieniana Italiana (STI) assieme a tanti gruppi non riconosciuti e a singoli appassionati semplici e studiosi, il cui merito oltrepassa quello dell’accademicità e giunge fino alla più sincera, bella e disinteressata amicizia, oltre al fatto che siamo rimasti ormai solo noi a non parlare di Tolkien con secondi fini in Italia, ideologici, politici o economici che siano.

In modo particolare, per le loro ricerche e le dritte per questo articolo non posso che ricordare Costanza Bonelli, Paola Cartoceti, Rachele Loricchio, Francesca Montemagno ed Enrico Spadaro, nonché l’impegno di Simone Claudiani sulla nostra Radio La Voce di Arda, dove tanti istruttivi interventi si sono tenuti dei nostri amici studiosi su questa traduzione. Le loro conoscenze sono state fondamentali per questo articolo, in quanto io non sono un traduttore né un filologo, ma un semplice filosofo, e, privato della loro amicizia e quella di altri, Tolkien per me sarebbe un nome come un altro.

Tutto il mio lavoro tolkieniano è dedicato soprattutto a tre persone, il defunto Dante Valletta e gli amici Greta Bertani e Gianluca Comastri, senza cui nulla avrebbe senso. Sono loro le persone per cui vale la pena andare avanti, facendo conoscere a tutto il mondo gli accadimenti tolkieniani nel nostro paese, l’Italia, per il quale un giorno, vicino o lontano, aurë entuluva, il giorno risorgerà.

Giuseppe Scattolini

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10 Replies to “La traduzione di Ottavio Fatica in Italia: come siamo giunti a questo?”

  1. Mi chiedo se a questo punto non si possa sollecitare, anche tramite una raccolta firme, un intervento ed una analisi da parte di chi dovrebbe avere l’ultima parola, cioè chi di fatto detiene i diritti dell’opera, Tolkien Estate. Penso che sarebbe giustq una presa di posizione ed utile togliere i diritti a Bompiani e quindi il terreno su cui si poggia Wu Ming IV per le sue velleità ideologiche.

  2. Purtroppo come ho già scritto sul forum dell’ AIST prima di venire “moderato” (ovvero bannato dalle loro discussioni), la nuova traduzione , come del resto le assettiche copertine, il cambio forzoso e forzato dell’intera toponomastica, sono state operazioni fatte con un preciso intento ideologico. Come ideologico e’ stato il tentativo di screditare scrittori tolkieniani come De Turris non per ragioni di merito, ma per il semplice fatto di essere curatori di autori invisi a sinistra come Julius Evola. Hanno perfino provato a censurarli , scrivendo lettere a centri culturali e associazioni che ospitavano i loro interventi su Tolkien, chiedendo espressamente di annullare gli eventi. D’altronde basta leggere il blog dei Wu Ming, e’ scritto a chiare lettere che non vige la libertà di parola e intervento sul loro forum per i” fascisti”( termine che lorsignori utilizzano in modo molto creativo per indicare chiunque non la pensi come loro e non appartenga all’estrema sinistra militante bolscevica o maoista). Cliccando sul nickname di Wu Ming 4 sul sito dell’ AIST si viene reindirizzati in automatico su GIAP, il blog politico dei Wu Ming. Qualcuno mi deve spiegare che c’azzecca con Tolkien, ma sopratutto se si e’ mai vista una cosa del genere altrove..

  3. La nuova traduzione è stata una fatica da non fare forse qualche ritocco ma anche no mi ha lasciato un amaro in bocca .
    Un Uruk hai triste

  4. Sto leggendo ora “La compagnia dell’Anello ” nella traduzione di Fatica: forse sì è più scorrevole della precedente ma non mi convince perché ha perso parte del suo fascino. Senza contare che ho trovato almeno due frasi grammaticalmente scorrette, termini mai sentiti (schidionare, gerone) che sembrano messi lì apposta per far dire “caspita quanto è colto il traduttore”. Per ora non mi entusiasma ma voglio finire la trilogia prima di bocciarla del tutto.

  5. Bah… che dire? Entrambe le traduzioni hanno i loro difetti e i loro pregi. Da “sinistra”, sinceramente, questa visione ideologica della traduzione mi fa leggermente sorridere. Se c’è una virtù della sinistra – quella vera – è di essere critica, di riconoscere qualità artistiche anche nel lavoro di persone delle quali magari non condividi affatto le opinioni. Per esempio, nel mio campo, l’architettura: Terragni era un genio. Era fascista? Direi proprio di si. E allora? Questa cosa leva una virgola alla qualità delle sue opere? No, affatto, perché l’arte, intendendo in questo termine ogni manifestazione estetica dell’agire umano, non ha colore, non segue un’etica, non deve essere politicamente corretta né tantomeno moralmente pulita. L’arte è arte, punto.
    Tornando alla questione, finita la lettura della traduzione di Fatica, posso dire questo: a volte è un vero godimento, la lingua scivola e canta, altre volte scade nel ridicolo, specialmente quando utilizza nomi e termini “dotti” chiaramente fuori posto etc, l’avete già detto. Inoltre, in molti pezzi vuole essere più “colto” e filologicamente corretto, finendo invece per trasformare in prosa prosaica alcuni pezzi del romanzo che nella traduzione di Alliata sono quasi epica, poesia.
    Ecco, la traduzione della Alliata ha questo: rende magistralmente quella profondità metastorica che sta dietro al testo, quella che mi fa preferire alcuni brani, narrativamente forse inutili, come l’incontro con Gildor all’inizio, che danno uno spessore pazzesco alla storia, che rendono alla perfezione quella “nostalgia” di un passato irripetibile che chiunque abiti in Italia, o meglio ancora a Roma, può provare di fronte alle rovine delle innumerevoli civiltà che ci hanno preceduto. Magari la Alliata, vista l’età, si prese delle libertà – non sono un linguista – e allora? Visto il risultato, meno male. Da sinistra, tra l’altro.

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