Christopher Tolkien compie 93 anni: lo commemoriamo, ricordando come la Terra-di-mezzo appartenga a lui tanto quanto a suo padre e che benedizione sia stata la vita di Christopher Tolkien per tutti noi.
Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita?
Come fai ad andare avanti,
quando nel tuo cuore cominci a capire
che non si torna indietro?
È probabile che Christopher Tolkien non apprezzerebbe le parole del Frodo cinematografico in conclusione a Il Ritorno del Re per descrivere l’ultima parte (possa essere lunghissima) della sua benedettissima vita, iniziata non prima del 31 agosto. Non se provengono da quel «circo barnum» a firma di Peter Jackson che «ha eviscerato il libro facendone un action movie per giovani tra i 15 e i 25 anni» responsabile di aver trasformato l’intera opera di Tolkien in
un mostro, divorato dalla sua stessa popolarità ed assorbito nell’assurdità del nostro tempo. La frattura tra la bellezza e la serietà dell’opera e ciò che è diventato mi ha sopraffatto. Lo sfruttamento commerciale ha ridotto al nulla l’impatto filosofico ed estetico della creazione. Per me non c’è che una sola soluzione: girare la testa dall’altra parte»((Christopher Tolkien, intervista di Raphaëlle Rérolle per Le Monde, 5 luglio 2012.)).
Alzava così le barricate la Tolkien Estate nel luglio 2012, secondo l’immagine dell’attuale coniuge di Christopher, Baillie, pronta ad affrontare una causa legale da 80 milioni di $ con cui gli eredi dell’inventore della Terra-di-mezzo sfidavano il gigante hollywoodiano Warner ad un oneroso mea culpa per aver licenziato (senza averne diritto) le più inammissibili oscenità che minavano alla reputazione del professore oxoniano, da casinò online le cui slot machine al posto delle ciliegine recavano il volto degli eroi della trasposizione, a social media games imperversanti su Facebook tra Angry Bird e Candy Crush. Sperando che venissero riconosciuti loro diritti esclusivi finora mai messi nero su bianco anche più estesi (compresi, forse, i videogiochi per console). Si concludeva allora la post-produzione di Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato e l’Estate disconosceva senza mezzi termini l’avventura cinematografica di Peter Jackson, esasperando ex auctoritate il dibattito, invero sempre più superficiale, tra gli estimatori e i detrattori della Terra-di-mezzo neozelandese. L’allora 87enne Christopher Tolkien sia esprimeva senza dubbio un giudizio sentito sull’oggetto in sé, i film, sia introduceva una leva su un fulcro finemente sensibile che, si è poi visto, sarebbe stato al centro del fragile equilibrio instaurato nelle aule dei tribunali californiani. Solo 5 anni dopo quell’intervista la causa fu risolta e attraverso un’ancora enigmatica via extra-giudiziaria.
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Sarebbe estremamente ingiusto ridurre il peso di Christopher Tolkien sulla tutela dell’opera paterna agli ultimi 5 o 15 anni di pubblica ribalta. Al suo terzo figlio dobbiamo non solo la scoperta esplicita della vastità e della profondità della creazione letteraria di J.R.R. Tolkien, mitologia ed epopea di cui i primi lettori di Il Signore degli Anelli non potevano che intuire un brandello, intravedendo appena poche foglie, seppur le più brillanti in controluce, del grande Albero dalle coriacee radici ipogee che era la sua creazione letteraria. Ma quale protagonista il figlio è stato della genesi delle storie che tutti noi amiamo, quelle che hanno visto la stampa come avventure degli Hobbit con l’Unico Anello!
Con gli occhi di bambino, nascendo con le storie del padre
Suo fratello maggiore Michael, compagno prediletto di giochi (nonché il primo a dipartire dalla vita terrena tra i figli di Tolkien) ricordava vivamente quando nacquero le prime incursioni del padre nella terra della Gente Piccola, ultime di molte storie della buonanotte o dopo il tea del tardo pomeriggio che papà Tolkien raccontava loro nel proprio studio davanti al fuoco nel camino. Per allora forse non esisteva nemmeno il termine “hobbit”, ma i ricordi di Michael, evidentemente condensati dalla mente del bambino che era stato, ci raccontano quanto Christopher fosse preoccupato fin dalla tenerissima età dalla coerenza narrativa della storia:
L’ultima volta hai detto che la porta di Bilbo era blu e hai detto che c’era un fiocco dorato sul cappuccio di Thorin; ma ora hai appena detto che la porta di Bilbo è verde e che il fiocco di Thorin è argentato((La questione di quando questo potesse avvenire è legato direttamente all’origine cronologica di Lo Hobbit, datazione tutt’ora non del tutto (e probabilmente mai) chiara. Michael retrodata questi episodi tra il 1928 e l’estate 1929, quando Christopher non aveva che 4-5 anni, ma nella sua memoria aggiunge particolari che i primi manoscritti esistenti (dal 1930) contraddicono. Ad esempio, il piccolo Chris lamentandosi del vestiario Thorin si stava quasi sicuramente lamentando di quello che allora si chiamava “Gandalf”, perché nelle prime fasi di stesura quello era il nome portato dal capo della spedizione dei Nani, mentre lo stregone si chiamava “Bladorthin”. Non è chiaro se questi primi racconti siano anteriori o posteriori al celeberrimo episodio della pagina bianca scoperta durante la correzione degli esami in cui John Ronald scrisse, in un attimo di liberazione, il famoso incipit della fiaba.
Per approfondire si veda J.R.R. Tolkien, The History of the Hobbit a cura di John D. Rateliff (inoltre, Brief) e la sintesi in Italiano di Lorenzo Gammarelli, Introduzione. La storia dello Hobbit in C’era una volta… Lo Hobbit. La memoria è stata ripresa da Christopher stesso nella Prefazione all’edizione per il 50esimo anniversario di The Hobbit.)).”
Il docente in carica al Pembroke College di Oxford (la massima autorità in Filologia Inglese al mondo) era così costretto a tornare alla scrivania e a segnarsi i commenti fatti dai suoi esigenti e piccoli ascoltatori. Nessuna sorpresa quando il padre lo mise a cercare errori nel testo pubblicato nel 1937, appena adolescente, pagandolo 2 penny ciascuno. A Babbo Natale quell’anno scriverà che Lo Hobbit è la sua storia preferita((J.R.R. Tolkien, Lettere di Babbo Natale, a cura di Baillie Tolkien, ed. it. a cura di Marco Respinti)).
Tolkien non si limitava a raccontare ai suoi bambini solo le storie appositamente pensate per loro, ma li coinvolgeva anche nei capisaldi della sua mitologia, senza risparmiargli nemmeno le storie più terribili. È solo quest’anno che Christopher ha rivelato, nella Prefazione a Beren e Lúthien:
È un bel salto indietro per me, poiché è il primo vero ricordo che ho di una storia che mi è stata raccontata passo passo, non semplicemente un’immagine memorizzata dalla scena di una narrazione. Mio padre me l’ha raccontata, forse in parte, a voce, senza alcuno scritto, nei primi anni trenta.
L’elemento della storia che ricordo, con la vista della mente, sono gli occhi dei lupi che appaiono uno dopo l’altro nell’oscurità delle segrete di Thû((Il Negromante che imprigiona Beren e Finrod, nell’ultimo libro la vicenda è narrata attraverso il Lay di Leithian. Più tardi questo tremendo avversario sarà rielaborato come il più noto Sauron.)).”
Attraverso questo fremito di bambino alla spaventevole immagine che prendeva forma dalle parole del padre, Christopher ci offre la prospettiva originaria dei primissimi ascoltatori: lui c’era quando la mitologia di Tolkien veniva plasmata, proprio di fronte a lui. I suoi primissimi ricordi, la fondazione della sua immaginazione, ne è pervasa.